Mi capita ogni tanto di ordinare un prosecco come aperitivo, o magari un bicchiere di bianco in pausa pranzo. Li scelgo rigorosamente a casaccio tra quelli proposti, fingendo di pensarci su e di capirci qualcosa. Il risultato è sempre lo stesso, indipendentemente dalla scelta: quando bevo il primo sorso mi sento quasi una persona seria, il secondo me lo gusto per davvero, il terzo mi si blocca in gola prima di scendere. Da lì in poi, finire l’intero bicchiere è sempre una sfida. Come se non bastasse, l’alzata dalla seggiola si fa ogni volta difficoltosa e barcollina.
Questo per dire che di vino non me ne intendo per niente, né lo reggo più di quanto potrebbe reggerlo mio figlio di un anno.
Ciononostante, la curiosità non mi manca e non potevo fare a meno di sfidare la mia ignoranza per approfondire quel mondo del vino che tanto mi affascina quanto mi sfugge. Così, la settimana scorsa mi sono ritrovato intorno a un tavolo con altri curiosi come me (ma direi ben più preparati, anche fisicamente) per la prima serata di un corso di avvicinamento al vino, organizzato dalla fantastica e ospitale sommelier Eliana e tenuto da Daniele, un altro sommelier sempre pronto a rispondere alle nostre domande.
Davanti a ciascuno, quattro bicchieri pronti ad essere riempiti (e vuotati). Tema della prima serata: i vini bianchi. Oh, sì, proprio loro, quelli della pausa pranzo. Mi alzerò barcollando?
L’inizio teorico mi prende subito: la teoria e la storia sono un buon pane per i miei denti. Dalla storia del vino alla struttura della pianta, passando al ciclo produttivo e alle varie fasi tecniche, Daniele è bravo a introdurre gli argomenti senza esagerare, perché, come dice lui stesso, il corso dura solo quattro incontri e l’intento non è far uscire dei sommelier, ma stimolare la curiosità sul vino e magari dare qualche strumento in più per gustarselo in modo più consapevole e profondo.
Il primo assaggio non si scorda mai (soprattutto se non è vino)
Il bello della serata arriva quando Eliana ci riempie il primo bicchiere (da una bottiglia oscurata, ovviamente). Eccolo lì, davanti a me, il vino bianco. Partiamo con il primo assaggio ed ecco la sorpresa: il vino va giù molto meglio di quanto immaginassi. Buonissimo, dolcissimo, un vero nettare… Possibile? Che gran vino è mai questo? Lo voglio per le mie pause pranzo!
Sembra impossibile, finché la verità non viene svelata. Non si tratta di vino, stiamo assaggiando mosto di Chardonnay. E la mossa non è casuale: è un modo per farci capire meglio le varie fasi che dall’uva portano al vino.
Ma non importa se non è vino, penso io, lo voglio lo stesso per le mie pause pranzo. (Mi ci vedete a chiedere del succo d’uva bianca al prossimo aperitivo?)
Poco dopo, Eliana porta il primo vero vino della serata (assaggiato sempre alla cieca) e Daniele ci spiega come affrontare le varie fasi della degustazione: cosa ci dice il vino alla vista, all’olfatto, in bocca.
Probabilmente, spiega, è un vino giovane, si vede dal colore, si sente dall’aroma. Io non ci capisco molto, finché non compare nel bicchiere il secondo vino: il colore è più intenso, all’olfatto gli aromi sono più decisi. Ora anche un principiante assoluto come me, davanti alle spiegazioni di Daniele e di Eliana, capisce il senso della differenza visiva e olfattiva tra i due. E il mondo della degustazione comincia a prendere un sapore più interessante.
Il terzo vino mi inonda letteralmente le narici di zafferano. Qualcun altro sente dei chiodi di garofano, ma a me pare proprio di aver infilato il naso in un risotto alla milanese, e visto che mi piace ce lo infilo di nuovo, e di nuovo, e annuso con una tale foga che alla fine devo tirare un respiro fuori dal bicchiere per prendere fiato.
Il quarto bicchiere chiude la serata con un vino ancora più strutturato: parola di cui solo ora capisco (un po’) il senso. Su ciascuno dei vini ci si sofferma a lungo e con la guida di Eliana e Daniele ciascuno di noi cerca di capirne le sfumature, fa confronti e ipotesi. Io ascolto, affascinato, dal basso di uno che di vino non sa praticamente nulla.
A bottiglie scoperte
Alla fine, le bottiglie si scoprono: nell’ordine, un Riesling, uno Chardonnay, un Gewuerztraminer e un Trebbiano.
(Ma a quanto ho capito, detto così, senza specificare almeno l’annata, significa poco.)
Al di là dello zafferano nelle narici, alcune cose mi rimangono impresse della serata. La prima è che il vino è un prodotto vivo. E’ imbottigliato e può invecchiare, sì, ma può farlo proprio perché è ancora vivo, nato da un frutto vivo e da una pianta viva. E poi c’è il rispetto che un buon vino ti spinge a portare nei confronti di chi l’ha prodotto, e la convivialità che si prova nel condividerlo con altri.
Vista la premessa, non vedo l’ora che arrivi la seconda serata: si parlerà di spumanti e bollicine. E ho già un paio di domande pronte per i nostri sommelier.
Le seguenti bottiglie facevano parte della degustazione:
- Riesling: Seresè IGT – 2015 – Lombardia – Cascina Belmonte
- Chardonnay Harmant Donà
- Gewuerztraminer Alsazia
- Trebbiano IGT – 2013 – Carmignano – Capezzana
E se volete assaggiare un Traminer simile a quello alsaziano presente alla serata, Eliana consiglia:
Gewürztraminer DOC – 2013 – Aristos – Eisacktaler – Valle Isarco
Testo di Roberto Benvenuti
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