Avviso al lettore: non pensare che la scorsa settimana fossi troppo brillo per scrivere un resoconto della seconda serata. E’ che ho pensato di unire la seconda e la terza lezione per chiudere questa miniserie in tre episodi anziché quattro. Mi fa più trilogia, tipo “Il Signore dei vitigni”.
Gli spumanti: focaccia, mandorle e soggettività
Se c’è una cosa che ho imparato durante il secondo incontro è che lo spumante è come la focaccia: tutto gira intorno ai lieviti, al tempo che gli si dà per lavorare, a come tratti l’impasto. O la bottiglia, in questo caso.
La seconda serata del corso è stata frizzante in tutti i sensi: si è parlato di spumanti e nei nostri ormai affezionati quattro bicchieri hanno sfilato, uno dopo l’altro, quattro tipi diversi di “bollicine”. In più, ci siamo divertiti come sempre.
A quanto ho capito, le bollicine possono dire tanto di un vino. E uno come me, che da ragazzo beveva la spuma dell’oratorio come se piovesse, di bollicine dovrebbe intendersene. Invece, pare che faccia fatica a distinguere uno champagne da un prosecco del Lidl. Ma va beh, diamo tempo al tempo, prima o poi ci arriverò anch’io.
Ah, a proposito di champagne, ho scoperto che profuma di mandorla. Beh, almeno è quello che ha decretato il mio naso giovedì scorso, ma non è detto che il vostro vi direbbe lo stesso. Perché schemi AIS a parte, a quanto pare il bello della degustazione è proprio la soggettività dei sensi.
(E sì, tra i vini c’era anche uno champagne come si deve, perché Eliana ci tiene a fare le cose fatte bene e se con Daniele ha deciso di farci assaggiare quattro vini ad ogni incontro, la scelta non è ricaduta certo sui più economici, ma su quelli che possono offrire di più dal punto di vista sensoriale.)
I vini rossi: mio nonno e la consapevolezza
Quando penso a un vino rosso mi viene in mente il vino da tavola che beveva mio nonno quando ero ragazzino: una sorta di chiaretto di quelli con il tappo a vite che ora, scopro, sta tornando in voga e non ha nulla da invidiare a quello in sughero. (Anzi, difficilmente il vino saprà mai di tappo!)
Ero in età da elementari e per svezzarmi, a cena, mio nonno mi versava sempre un dito di quel suo vino nel bicchiere, ci schiaffava dentro un cucchiaino di zucchero e l’allungava con un pochino d’acqua. A quel punto io ci pucciavo il pane finché da bere non mi rimaneva che un fondo di bicchiere, torbido di mollica e di zucchero.
(Ecco quel che rimane dei miei quattro bicchieri di rosso.)
A quanto pare, quell’intruglio giovanile è stata la mia rovina, perché il vino rosso non mi è mai andato giù volentieri. O almeno, così pensavo fino all’assaggio della serata di questa settimana.
Partendo da casa per la terza serata di corso ero titubante: in genere, se bevo un bicchiere di rosso a cena poi non dormo tutta notte. Invece, dopo una interessante parte teorica sulle caratteristiche di ciascuna regione italiana, i quattro assaggi di rosso sono scesi che era un piacere, e più ascoltavo la spiegazione e i commenti che il gruppo faceva per ciascun vino, più mi rendevo conto di come avere anche solo una minima consapevolezza di quel che si sta bevendo renda il tutto più piacevole e significativo. Non che prima non lo sapessi, semplicemente non ci avevo mai sbattuto la faccia.
Una delle rivelazioni della serata (per me) è stato l’assaggio di un Valpolicella e di un Valpolicella Ripasso. La differenza è stata abissale e ha fatto capire a tutti in un solo sorso (ma anche in una sola occhiata) il concetto di “ripasso”.
A questo punto, la quarta e ultima serata sui vini dolci sarà uno spasso: sono quelli che nella mia ignoranza ho sempre apprezzato di più, quindi se tanto mi dà tanto, per le mie papille gustative sarà una serata memorabile.
Come si dice, dulcis in fundo.
Ecco gli spumanti della seconda serata: